Sono sempre stato convinto, come docente, che non è possibile, ne è desiderabile, estendere i propri studi in modo indefinito, se il nostro scopo è lavorare. Il contrasto simultaneo è un fenomeno curioso, che può avere un effetto su una post-produzione fotografica. Ma ha senso studiarlo?
I concetti che sono alle basi della correzione del colore arrivano da molto lontano. Alcuni aspetti empirici della percezione visiva erano noti anche centocinquanta anni fa. Quello che, nel tempo, è radicalmente cambiato è l’approccio delle figure professionali alle discipline tecniche. Duecento anni fa un pittore doveva essere art director, tecnico, creativo, dominare la luce ed essere responsabile del risultato. Doveva innanzitutto avere gusto. Oggi?
“Helmholtz, a great scientist, once wrote, “A study of the paintings of the great masters…is of great importance to physiological optics.” Now it is known that a study of perception and physiological optics is great importance indeed to art. Both the objective scientist and the subjective painter would do well to make friends.”
Faber Birren, Creative Color / 1961
Oggi, per stare dietro alla potenza e la diversificazione dei mezzi che noi stessi abbiamo creato, siamo stati costretti a separarci, dividendoci i compiti. Il risultato, il cambiamento, che mi interessa osservare non è tanto quello qualitativo. Ma quello formativo, insomma non mi interessa il risultato, ma come ci arriviamo. Il pittore di una volta, che aveva sviluppato un gusto che era essenziale per la propria professione sapeva di non poter ignorare il lato tecnico. Se avesse incontrato o scoperto un concetto come il contrasto simultaneo lo avrebbe studiato, ed inserito nel suo arsenale, in quello che noi oggi chiamiamo workflow o flusso di lavoro.
“The phenomenon of colored shadows and the more general phenomenon of simultaneous contrast lead to the famous generalization first stated by Chevraul (in 1839 ndDDS). As translated in 1854, he wrote: “All the phenomena I have observed seem to me to depend upon a very simple law, with, taken in its most general signification, may be expressed in these terms: In the case where the eye sees at the same time two contiguous colors, they will appear as dissimilar as possible, both in their optical composition and in the eight of their tone.”
Ralph M. Evans, The Perception of Color / 1974
Il mio problema è: perché ho scoperto il contrasto simultaneo a trentuno anni con Dan Margulis?
Accanto a me ho cinque libri, rispettivamente del 1879, 1961, 1963, 1974, 1990, 2005 e tutti riportano la voce contrasto simultaneo nei loro rispettivi indici.
Citammo precedentemente la enigmatica instabilità dei colori, la più incisiva dimostrazione del fatto che una stessa parte entro due interi diversi non è la stessa cosa. Il medesimo colore in due contesti differenti non è il medesimo colore. Così John Ruskin ammonisce i pittori: “Ogni colore, mentre lavorate, viene alterato per efetto di ogni tocco aggiunto in altri punti del quadro; cosi ché ciò che era caldo un minuto prima diventa freddo una volta che voi avete aggiunto un colore più caldo in un altro punto, e ciò che era armonico diventa discordante man mano che mettete gli altri colori accanto ad esso.”
Il contrasto cromatico é stato molto studiato. Una dimostrazione del fenomeno la diede Josef Albers in Interaction of Color. Più trascurato è il controeffetto, cioè l’”eguagliamento”; benché l’antagonismo dei due meccanismi percettivi renda inevitabile che l’uno non sia preso in costernazione senza l’altro. Poiché i pattern percettivi tendono verso la più precisa organizzazione possibile, una configurazione di colori si indirizzerà o verso il contrasto o verso l’eguagliamento, a seconda che l’uno o l’altra sia più vicino alla data informazione stimolante. Si può anche applicare i concetti di “accentuazione” e “livellamento”, di cui ci siamo serviti per descrivere la modificazione delle forme.
L’eguagliamento é strettamente legato alla combinazione additiva dei colori. Quando le tinte confinanti sono abbastanza simili o quando le are: che le contengono sono abbastanza piccole, i colori si avvicinano invece di accentuate il contrasto. Jameson e Hurvich hanno proposto, per spiegare almeno alcuni aspetti del fenomeno, una teoria psicologica: i recettori microscopici della rètina non agiscono singolarmente ma come costituenti di campi recettivi, ciascuno dei quali combina l’azione di numerosi recettori e fa capo come una unità a una singola cellula gangliare. All’interno di ogni campo, i recettori reagiscono antagonisticamente: nell’area centrale la risposta all’intensità e al colore della luce è positiva, nei recettori circostanti è negativa. Quando sono relativamente piccoli, questi campi di recettori discriminano nettamente tra aree stimolanti di dimensioni discretamente grandi e ne sottolineano il contrasto.
Quando le aree stimolanti sono piccole, ad esempio quando formano un pattern di punti a grana fine, come quello trasmesso all’occhio da un dipinto divisionista, non c’e scomposizione e il risultato é un’autentica mescolanza additiva. Ma quando la unità sono alquanto più grandi, può risultare l’eguagliamento (talvolta definito l’effetto di diffusione di Bezold) dovuto al fatto che i campi di recettori hanno dimensioni variabili: alcuni sono grandi oltre sei volte gli altri. Di conseguenza, i campi più ristretti sono abbastanza discriminanti per segnalare la differenza tra aree di colre diverso, mentre i più vasti possono abbracciare le diverse aree e così ridurre per interazione additiva le loro differenze cromatiche.
Ma non è possibile qualificare rapporti che intercorrono tra le varie gradazioni di colore senza tener conto della loro saturazione e chiarezza. È stato dimostrato sperimentalmente che la capacità di distinguersi di un colore dipende più dalla sua chiarezza che dalla sua tonalità. Susanne Liebmann scoprì per esempio che quando una figura rossa viene posta su un fondo verde che sia esattamente della stessa chiarezza i margini della figura diventano fluidi, morbidi, colloidali. Il rapporto figura-sfondo scompare, gli oggetti assumono una parvenza incorporea e si ha una certa difficoltà a stabilire le differenze di distanza; inoltre la forma tende a dissolversi, le punte delle stelle tendono a scomparire, i triangoli sembrano arrotondarsi, file di puntini perdono il loro carattere assumendo l'aspetto di un tratto continuo. Non sorprende quindi che i pittori usino rinforzare la differenziazione delle diverse tonalità cromatiche mediante differenziazioni di chiarezza. E quando affidiamo il compito di creare una distinzione tra settori vicini alla sola tonalità essi ricorrono per lo più a ciò che abbiamo chiamato “cozzo” o repulsione reciproca. Per esempio, possiamo mettere un fondo verde-azzurro accanto alla zona blu rossastra di chiarezza e saturazione pressappoco identiche. Questa sembrerebbe essere una conferma del parere secondo cui il cozzo sarebbe il più efficace sistema per ottenere una distinzione tra le diverse tonalità.
Arte e percezione visiva, Rudolf Arnheim, 1954
Ed ora chiediamoci, questo è uno dei due o tre fenomeni di percezione visiva più comuni, conosciuti da secoli. Ha un effetto su tutti. I fotografi, i grafici, i web designer si curano di questo effetto quando creano? E’ proprio la divisione dei compiti che ci rema, fortemente, contro. Forse ci sono dei fotografi che studiano il sistema visivo. Ma i web designer? E perché, contrariamente a quello che sosteneva Birren, non c’è scambio di competenze tra questi professionisti?
Un metodo avanzato e moderno di analisi dell’immagine, basato su Lightroom (o altro software di sviluppo RAW). A differenza di Photoshop (dove possiamo solo misurare il colore), in Lr possiamo continuamente modificare i parametri e al contempo vedere come reagisce l’immagine. In questo modo possiamo collezionare una grande mole di dati sullo scatto, non solo relativi ai suoi problemi, ma anche alle sue potenzialità. Possiamo, inoltre, utilizzare lo strumento “istantanee” per creare dei riferimenti da confrontare.
Prima ancora della conoscenza delle tecniche, o degli strumenti, le carenze più importanti di chi si avvicina alla post-produzione riguardano la lettura d’immagine. Reading è uno degli strumenti del Workshop, un video che introduce uno scatto originale prima di un confronto. In questi video (in fase di registrazione) eseguo una lettura completa di uno scatto non lavorato e cerco di evidenziarne i difetti e le potenzialità.
Lo step, o la serie di step, che contribuiscono all’aumento del dettaglio di una fotografia. Usualmente lo sharpening viene aumentato forzando nei dettagli sottili degli aloni che aumentano la percezione di dettaglio. È importante ricordare che in una fotografia digitale è possibile unicamente tentare di amplificare il dettaglio presente, non aggiungerne di nuovo.
Come contrasto e luminosità un parametro base per i colorist, e come gli altri spesso difficile da descrivere o definire. Quando usiamo il termine saturazione intendiamo l’intensità di una tinta. Quanto, cioè il colore sia puro, vivido. Quando la saturazione diminuisce un colore tende al grigio, quando aumenta diventa più forte, squillante. Questi termini faranno sorridere (inorridire) molti professori, ma per noi sono importanti per ricordare che il colore è un fenomeno percettivo, non assoluto.
Una delle novità più interessanti nel Workshop. Disponibile per gli iscritti Premium e Professional, Sfide è uno strumento di autoapprendimento, che consente di scaricare l’originale e confrontare la propria correzione con quella dei migliori colorist del Workshop. Le immagini sono classificate per anno, o per difficoltà, in questo modo un colorist può iniziare dal basso e procedere per gradi. Se in grado di realizzare una versione migliore di quella del vincitore verrà sostituita.
Un leggendario sistema di sviluppo analogico creato da Ansel Adams e Fred Archer (il suo colorist). Ansel e Fred standardizzarono un sistema di visualizzazione sviluppo e post-produzione diviso in undici zone di luminosità. Tantissima attenzione ed esperienza dedicata a fattori oggi dimenticati, come la previsualizzazione del risultato in fase di ripresa, ed il rapporto tra fotografo e colorist.
Cerchiamo di restare concentrati sulla semplificazione e sul capire un concetto, invece di cercare di definirlo con rigore. Una tinta è il tipo di colore che stiamo vedendo. Un rosso, ad esempio può essere più o meno luminoso, o più o meno saturo, e sono tutti colori differenti. Ma un rosso ed un verde sono due tinte differenti. La difficoltà nasce quando dobbiamo, per lavorare in digitale, tradurre un colore in numeri. Allora luminosità, tonalità e saturazione devono essere definite e rapportate con precisione (e non è un caso che proprio queste tre siano fondamentali per un metodo alternativo ad RGB, chiamato HSL).
Tiziano Fruet è con grande probabilità l’amico e collega che ne sa di più su Photoshop. Un monte di esperienza ed informazioni su tutti gli infiniti aspetti del software, oltre ad essere il miglior grafico che conosco ed un docente di altissimo profilo.
Nel Workshop ogni settimana correggiamo uno scatto, ed osserviamo il confronto in un video HD. Tutti i nostri originali passati, i video e le classificazioni sono disponibili nel Vault. Il Vault ha delle sottosezioni che rendono possibile la navigazione per anno, o per difficoltà, permettendo ai nuovi iscritti, o a chi vuole un piano di studi strutturato, di scegliere come avanzare. Il Vault è accessibile agli utenti Premium e Professional.
Una caratteristica importante che può migliorare o peggiorare una correzione, a seconda dell’immagine. In uno scatto molto piatto, quasi monocromatico aumentare la variazione cromatica vuole dire aumentare la percezione dei colori presenti nello scatto. Questo in molti casi vuol dire introdurre colori errati, spesso opponenti, in oggetti adiacenti o che circondano il soggetto.
Una fotografia non post-prodotta. Non necessariamente in formato RAW, ci sono ancora numerosi professionisti che scattano in JPG. Chi fotografa concerti e deve mandare il materiale ad un quotidiano in poche ore non ha il lusso di avere un flusso RAW in loco. Un discorso simile anche per alcune categorie di fotogiornalisti. Un file originale ha un’importanza superiore rispetto ad altri formati, deve essere archiviato, ad esempio.
Il comando annulla, insieme ad una visualizzazione avanzata ed alla possibilità di lavorare in modo non lineare, rappresenta il grande passo avanti del digitale rispetto all’analogico. Annullare non vuol dire solamente cancellare l’ultima operazione, ma a livello concettuale permette di osservare visivamente “quanto” l’ultimo step sia stato di impatto sulla fotografia. E non è un caso che Photoshop sia uno dei pochissimi software che esistono in cui Cmd-Z o Ctrl-Z annulla l’ultimo step la prima volta, ma lo ripristina in loop. Proprio per dare al colorist la possibilità di visualizzare e nascondere in continuazione una trasformazione finché non decide il suo impatto estetico.
Nel Workshop ogni settimana raccolgo tutte le versioni corrette dello stesso originale. Realizzo una media utilizzando oggetti avanzati, questo mi permette di avere uno scatto composto da tutti i colorist, in cui tutti i vantaggi ed i difetti sono mitigati. È un livello molto importante. Tutte le versioni corrette dovrebbero essere migliori dell’originale, ma se sono anche migliori di una media, che infatti utilizzo come riferimento, il risultato è buono. Una versione media difficilmente eccelle in qualcosa è, appunto, media. Tranne per il rumore, la grana di decine di processi differenti si auto-corregge, ed il rumore di una media è molto, molto ridotto.
Le singole versioni dei colorist nel Workshop. Ogni settimana il Panel cerca di produrre il risultato migliore, che sia una correzione o un’interpretazione. Cerchiamo di capire insieme, con il confronto ed un sano disaccordo, chi ha realizzato la versione migliore. Non sempre è possibile, e difficilmente è facile. Ricordiamoci sempre che quello che separa un colorist professionista da uno alle prime armi non è quanto una sua versione sia migliore. Bensì quante volte, su mille immagini, riesca ad avere la meglio.
L’insieme degli iscritti al Workshop di correzione colore. Il termine è inglese, ma chiedo licenza. Un “panel” è un gruppo di esperti chiamati a valutare qualcosa. Se a livello tecnico un docente può essere su un piano differente rispetto ai corsisti, sul piano estetico i giudizi e le valutazioni sono equivalenti. Un docente dovrebbe avere l’esperienza riguardo cosa “funziona di più”. Ma il disaccordo è democratico e tutti sono sullo stesso piano, per questo preferisco parlare di Panel.
Una palette cromatica è l’insieme dei colori di una fotografia, da non confondersi con l’Info-Palette di Photoshop. È sempre utile tentare una rapida valutazione di una palette, per valutare se contrasto simultaneo o altre tecniche possano essere applicabili o utili. Inoltre una rapida valutazione della palette cromatica di uno scatto aiuta nell’individuazione di maschere o tecniche di post-produzione.
Most Valuable Player è termine che prendiamo in prestito dal basket (che adoro) per indicare il miglior colorist del Workshop. È un titolo molto difficile da conquistare, perché richiede costanza, tempo e molta disciplina. Produrre il risultato migliore con continuità è ben differente da produrre un buon risultato. Per questo l’MVP merita rispetto e riconoscimento.
Marco Olivotto è un altro essenziale amico e collega, e compagno di studi. Marco ha una grande esperienza nell’intero flusso di lavoro, dato che ha esperienza in fotografia, ma anche in stampa offset. Marco è un ottimo docente e colorist, binomio molto raro!
Marco Diodato, carissimo carissimo amico e compagno di classe durante i workshop di Dan Margulis. Marco è nel nostro gruppo il fotografo con più esperienza, notevole visto che è anche il più giovane!
La Man From Mars (MFM) o Modern Man From Mars (MMFM) è una tecnica di Dan Margulis per l’aumento della variazione cromatica (cioè l’aumento della quantità di colori percepiti in una correzione). Agli inizi questa tecnica era il risultato di un set di curve in Lab, mentre oggi è disponibile nel Pannello del PPW di Dan Margulis, e permette, la pressione del tasto ALT quando viene applicata, di disporre di numerosi parametri.
Un termine che può indicare più cose, un canale del Lab, una quantità o una caratteristica fondamentale di una fotografia (l’altra è la componente cromatica). È un termine fondamentale in fase di valutazione di un risultato, insieme al contrasto, al dettaglio ed alla saturazione. Dovrebbe sostituire per un colorist (anche, o forse soprattutto quando è fotografo) il termine esposizione, molto più adatto in fase di scatto, forse accettabile solo in sede di sviluppo RAW, come riferimento diretto.
Un software di sviluppo RAW e catalogazione dell’archivio fotografico prodotto da Adobe dal 2007. Lightroom è stato progettato e costruito sul fotografo, anche se è possibile affiancarlo a Photoshop. Può essere usato per la gestione del proprio catalogo, archiviazione, metadati, editing, post-produzione ed esportazione. A differenza di Photoshop Lightroom è diviso in moduli, ed obbliga l’utente a specificare di cosa vuole occuparsi e disporre degli strumenti relativi momento per momento. Nato per gestire i formati RAW supporta anche JPG ed altre estensioni. Come Photoshop è venduto esclusivamente in abbonamento.
Con Lab nella correzione colore di solito intendiamo il metodo colore in Photoshop (anche se possiamo leggere i valori anche in Camera RAW o Lightroom). Fondamentale per un colorist per la sua versatilità e facilità di utilizzo, dato che luminosità e croma vengono completamente separati. È fondamentale soprattutto in fase di studio, per le sue differenze con RGB. In Lab molti strumenti diventano ancora più importanti (come il Fondi-se) o assumono compiti addizionali (come ad esempio scurire/schiarire con grigio 50% su “a” e “b”.
Aggiunto nell’Ottobre 2017 a Camera RAW e Photoshop questo strumento permette di utilizzare una logica a “livelli” anche mentre si lavora in RAW. Interviene sulle regolazioni locali sottraendo parti indesiderate in base alla luminosità o al colore dell’immagine originale.
Un’azienda, oggi di proprietà X-Rite, fondata negli anni ’50. Celeberrima, identificata spesso con la cultura del colore, si è occupata per decenni di classificazioni e conversioni cromatiche dedicate alle aziende.
Un processo che trasforma ed interpreta i dati dei nostri sensi. Il nostro sistema visivo, in generale tutto il nostro corpo, non è capace di misurazioni assolute. Ma è incredibilmente avanzato per confrontare due elementi. Per un colorist la percezione visiva e le sue caratteristiche, hanno una grande importanza.
Sviluppato e distribuito da Adobe dal 1990. Croce e delizia di ogni fotografo, colorist, pre-press manager ed altre centinaia di professioni (dall’architettura alla medicina). Venduto dalla versione CC solo in abbonamento mensile o annuale, ha sempre avuto un costo eccessivo, non tanto in senso assoluto, ma per la qualità intrinseca del prodotto. Photoshop non è sviluppato con cura né continuità. La fortuna di Adobe è sempre stata non avere competitor nel settore, nonostante Affinity Photo potrebbe tentare nei prossimi anni. Il vantaggio più grande è la sua flessibilità che garantisce al professionista, il suo difetto più importante è che l’interfaccia utente, la serie di inutili strumenti aggiunti nei decenni, rendono lo studio di questo software lungo, intenso e spesso uno spreco di tempo.
La crasi di Picture Element, è l’elemento unitario di un display o di un sensore. Nel caso dei display è a sua volta formato da sub-pixel (solitamente di un unico colore). È l’elemento che ci permette di definire una risoluzione, ad esempio un file mille per mille pixel, oppure una fotocamera da dieci “megapixel” (dieci milioni di pixel). È importante precisare che la risoluzione deve sempre essere considerata in relazione alle dimensioni fisiche di riferimento: “è una foto da duemila per tremila pixel, in formato venti per trenta centimetri”. Oppure è un sensore da dieci megapixel, in formato full-frame.
Quando un colorist inizia il suo percorso di studio, deve iniziare il prima possibile a fare pratica. La pratica deve avere due parametri: quantità e qualità. La qualità riguarda cosa correggiamo. Dobbiamo cercare di lavorare scatti che siano differenti come stile e come valore. Scatti di settori differenti: food, fashion, architettura e sport. Ma allo stesso tempo scatti facili, difficili ed impossibili da correggere. Dobbiamo sbagliare il più possibile e capire dove, come e quando lavorare.
Oltre al parametro qualità, dobbiamo lavorare anche come volume. Naturalmente non è possibile lavorare su tutto in quantità, per cui dovremo scegliere la tipologia di foto più importante per il nostro lavoro o per il nostro hobby. Dove la qualità ci permette di capire come si risolve e si affronta un problema, la quantità ci permette di diventare efficienti ed accorciare sempre di più i tempi di post-produzione.
Uno dei due modi di comporre un’immagine (l’altro è il vettoriale molto importante per la grafica). Il formato raster è basato su una griglia di pixel, ed ogni pixel è descritto da valori numerici. Un file raster dispone di un altro parametro fondamentale, la profondità (in bit). Infine può essere non compresso (come un file RAW), con compressione “lossless” (come alcuni tipi di PNG e TIFF) oppure con compressione “lossy” (come il JPG).
Una tipologia di formati file raster fondamentale per i fotografi. Partiamo dai pregi, un file RAW è quanto di più vicino ai dati grezzi di un sensore possiamo avere. Permette di lavorare in modo non distruttivo su un’immagine e di lavorare in modo non lineare. Il lato negativo più netto è che si tratta di formati proprietari dei produttori che non condividono con la comunità software come questi dati vengono generati. Basta osservare il medesimo scatto realizzato con una macchina fotografica Canon, una Nikon e così via. I software che ci fanno vedere questi file lavorano con approssimazioni perché queste marche (per una questione di brevetti tecnici) non distribuiscono informazioni.
RGB è un metodo colore disponibile in Photoshop, il più utilizzato. I profili collegati a questo metodo sono l’sRGB, AdobeRGB e ProPhoto, per citare i più comuni. L’RGB è il primo e spesso purtroppo ultimo metodo studiato nella formazione scadente della correzione colore. È uno spazio importante, ma non il migliore per la post-produzione, come tutti ha pregi e difetti.
La più comune, soprattutto grazie ad internet, estensione file immagine. Rappresenta il formato JPEG (Joint Photographic Experts Group), un formato raster e compresso. È solitamente usato come destinazione finale per il web o la condivisione di file in flussi di lavoro che non permettono formati lossless (non compressi). Chi inizia a studiare correzione colore deve ricordare che ogni salvataggio è una compressione, step che devono quindi essere evitati quando possibile.
Se l’RGB mescola luminosità e croma in ogni canale, ed il LAB separa luminosità in uno, e componente cromatica in due, il CMYK vive tra questi due estremi. I canali CMY sono simili per costruzione ai canali RGB, ma si sommò un quarto inchiostro all’inizio del 1900 per la registrazione dei primi tre e l’efficienza per il testo. Per un colorist il canale K è prezioso perché descrive le ombre. È un’ottima maschera, e permette un bilanciamento interessante.
Per un colorist la correzione colore è una disciplina, solo metà del nostro lavoro è legata all’estetica ed alla soggettività. L’altra metà è oggettiva, ad esempio è stato dimostrato che alcuni colori (come il cielo o i verdi della vegetazione) siano oggettivamente descritti da valori numerici definiti (in un range). Il nostro lavoro, quindi, se vuole essere affiancato da una disciplina deve avere uno strumento di misurazione dei valori cromatici. Questo strumento è, in Photoshop, la Info Palette, ma ogni software di sviluppo dispone di un campionatore. Leggere, e di conseguenza rispettare o correggere, i valori cromatici di uno scatto è uno step che deve essere fatto in tre stadi: all’inizio della correzione, durante l’editing, ed alla fine come processo di controllo qualitativo.
Le correzioni di un colorist possono entrare, secondo me, in due differenti categorie. La prima è oggettiva: una correzione. Nella seconda categoria, invece, preferiamo fidarci del nostro istinto e della nostra estetica (che non è un valore universale) cercando di piegare lo scatto, o una sua parte, alla realizzazione di qualcosa di “bello”. In questa categoria di correzioni i tipo di fotografia che di solito è più facile incontrare sono: la fotografia di moda, di ritratto, di prodotto.
Unico ed inimitabile è il responsabile della genesi di questo metodo. La standardizzazione, la ripetibilità, lo studio sono elementi approfonditi negli anni. Grazie a Dan abbiamo una disciplina da completare e sviluppare. Trasformare un settore così approssimativo e superficiale in una disciplina non è stato facile ed ha richiesto a Dan oltre venti anni di insegnamenti in giro per il mondo, oltre ad un numero considerevole (ed esilarante) di scettici. Dan è una delle persone più acute, infaticabili e generose che ho mai incontrato, ed è un privilegio per me considerarlo un amico.
Genio e sregolatezza (anche se non nel senso che immagini, credo). Davide ha un’esperienza massiccia di vero professionista. Ha lavorato con professionisti di alto profilo, condivide con me un’insana passione per il codice. Davide Barranca sviluppa estensioni per Photoshop ed ha scritto diversi libri su come progettarle e realizzarle. È un colorist di una bravura estrema, ma soprattutto ha un senso dell’umorismo di prossima generazione.
Il sistema immagine attualmente in uso. Succede alla pellicola e precede… vedremo! La transizione non è stata molto efficiente, né veloce, né onesta. Ma è netta ed ora i vantaggi sono evidenti e usufruibili da tutti. Svantaggi, approssimazioni e costi sono stati introdotti, al pari della transizione tra automobili esclusivamente meccaniche e dotate di elettronica.
L’ultima versione di Albero utilizza un approccio moderno alla formazione che si basa su dati collezionati in oltre cinque anni. Una classificazione importante ora disponibile è la difficoltà di correzione di uno scatto. È una catalogazione importante soprattutto per chi inizia che può scegliere di auto-valutare i propri risultati con Sfide lavorando inizialmente sugli originali più semplici. E poi progredire aumentando il livello di difficoltà.
La riproduzione di colori credibili (o piacevoli, talvolta) occupa un ruolo fondamentale della post-produzione. Ma sappiamo anche che ci muoviamo in un sistema percettivo, che non è lo stesso tra essere umano e sistema digitale (né analogico). Queste differenze di gestione degli illuminanti, brillantemente bilanciati nel nostro sistema visivo, ma spesso mal comprese dal digitale causano differenze evidenti, che definiamo dominanti.
La quantità di luce dipendente da una coppia tempi/diaframmi. La qualità dell’esposizione ha un impatto fondamentale anche in post-produzione, perché spesso, coscienti dei limiti del digitale (gamma dinamica) preferiamo sotto o sovraesporre per preservare del dettaglio. Questo è uno dei numerosi casi in cui avere rudimenti di correzione del colore aiuta un fotografo nel proprio lavoro.
Un termine spesso impropriamente utilizzato che può cambiare significativamente a seconda della disciplina di riferimento. In un progetto fotografico, ad esempio, l’editing è la fase di selezione degli scatti adatti. Mentre nel video il concetto si estende includendo alla scelta del materiale anche eventuali tagli, in italiano parliamo di “montaggio”.
Le immagini che utilizziamo nel Workshop e nelle Consulenze sono fotografie vere di fotografi professionisti ed amatoriali. È importante utilizzare non solo immagini difficili da correggere, ma anche quotidiane. Questi fotografi rendono un grande servizio condividendo il loro lavoro per scopi didattici e li ringraziamo calorosamente. A questi si aggiungono colorist, maestri e colleghi importanti nel mondo della correzione del colore.
Il vecchio sistema fotografico, oggi sempre più difficile (e costoso) da utilizzare. Ampie differenze sia in fase di scatto che di post-produzione. Differenze che aumentano se si considera che nella pellicola bianconero e colore erano due sottosistemi. Tuttavia, nonostante le limitazioni questo sistema conserva tuttora dei pregi, principalmente qualitativi.
L’elemento unitario del Workshop. Immagine, fotografia, scatto sono sinonimi dello stesso elemento. Un’immagine è, per noi, disponibile in diversi stati, o versioni: originale o correzione. Un’immagine è disponibile in formato raster. Ed in innumerevoli formati file, dalle tipologie RAW (.CR2, .NEF ecc.) ai formati compressi o meno (JPG, PNG). Inoltre è possibile avere dei formati ibridi come ad esempio i file PSD di Photoshop che possono avere un livello raster, ma anche un oggetto avanzato RAW all’interno.
Esistono tantissime tecnologie per costruire monitor, fotocamere, scanner e stampanti. Per cercare di riprodurre una fotografia nel modo più simile possibile si utilizza un profilo. Un profilo è un parte del codice che compone un file che specifica il modello con cui quell’immagine è costituita. Ma un profilo è anche il modo in cui un monitor, o una stampante, modificano uno o più colori per cercare di avere una riproduzione fedele. I profili, la loro realizzazione ed il loro utilizzo sono materie fondamentali per la gestione del colore.
Il termine è composto dalle prime lettere delle parole high radius low amount. Raggio e fattore si riferiscono alla maschera di contrasto di Photoshop, e questa tecnica che si ottiene ad ampi raggi e modesti fattori aumenta quello che definiamo “contrasto locale”. Che possiamo immaginare come una terra di mezzo tra il dettaglio ed il contrasto globale dell’immagine.
La grana non è rumore. Una delle due è una caratteristica di una foto, l’altra un problema. Una si aggiunge, solitamente al termine di una correzione, l’altra si cerca di rimuoverla. La grana è una texture che abbiamo, in digitale, ereditato dalle caratteristiche tecniche della pellicola. La grana, la sua dimensione e conformazione corrispondeva alle caratteristiche dei cristalli d’argento nella pellicola. Come il bianconero resta per molti fotografi un mezzo espressivo, e quindi si cerca di replicarla anche in digitale. Mentre il rumore deriva da amplificazioni del sensore digitale di una fotocamera, che cerca di catturare più luce, approssimando e creando una texture non esteticamente piacevole.
Quando ammiriamo una bella fotografia in una mostra, o in un libro osserviamo i risultati del lavoro di molti professionisti. Il fotografo ed il colorist sono due immediati esempi. Ma è necessario includere altre figure professionali che si occupano di altrettante discipline. Chi ha stampato questa foto, e con quali tecnologie? Chi si è occupato della corrispondenza cromatica tra l’oggetto ritratto (un concetto di grandissima importanza nella fotografia industriale e commerciale) e la stampa? Il professionista che si occupa di queste problematiche (una figura che può coincidere con il fotografo o con il colorist in tempi di budget sempre più stretti) si occupa di gestione del colore. La disciplina che codifica, studia e sviluppa le tecnologie che si occupano di consistenza e corrispondenza cromatica.
Giuliana Abbiati è una persona dai mille talenti, da sempre appassionata di grafica e Photoshop ha spinto i suoi talenti fino a sviluppare alcune estensioni per Photoshop che hanno un potere ed un valore didattico, per me, immenso. Come il Channels Power Tool. Nel nostro gruppo di amici/colleghi è l’amica che ci tiene tutti a freno, e pensiamo tutti che sia insostituibile.
Una delle due famiglie di intervento nella post-produzione (l’altra è “interpretazione”). Nella correzione ci occupiamo di interventi e miglioramenti qualitativamente oggettivi. Importante (o addirittura obbligatoria) in alcune discipline, come il foto-giornalismo, le immagini scientifiche. Una correzione deve rispettare dei parametri più rigidi di una interpretazione, ed essere completa (dal bilanciamento del bianco al miglioramento del dettaglio). Proprio per la sua oggettività può essere, in alcuni casi, più complessa da gestire (specialmente in lavori con molte immagini).
Non potremmo iniziare questo glossario in modo migliore. Alessandro Bernardi, o “AB”, acronimo come tutti i miei amici e colleghi. Colorist e formatore di grande esperienza, ha studiato con Dan Margulis in America, ed ha poi adattato e proposto con Dan quella didattica per anni in Italia. Chi scrive, ed un grande numero di professionisti ed appassionati del settore, ha un grande debito nei confronti di AB. Grande professionista, appassionato di vino, amico.
Le informazioni più importanti su questo sito sono tutte su una pagina dedicata, ma mi fa piacere ricordare che il nome viene da un sistema colorimetrico creato da Albert Munsell.
Un software di post-produzione fotografica e grafica prodotto da Serif. Affinity Photo è una vera alternativa a Photoshop, sviluppata da un team più piccolo e di conseguenza con uno sviluppo più attento e veloce. Affinity Photo viene venduto con acquisto singolo, per versione (acquisti la versione 3.0 e se vuoi, ma non sarà obbligatorio potrai aggiornare alla 4.0 pagando un upgrade), e non in sottoscrizione mensile come Photoshop e Lightroom. Ha il potenziale, se il team riuscirà a restare a fuoco, ed ascoltare la propria community, di superare Photoshop.
Blend-if, in italiano “Fondi-se”, il mio strumento preferito di Photoshop. Scriverò un articolo specifico che linkerò qui. Blend-if permette di mescolare due livelli differenti con delle “condizioni logiche” molto potenti e veloci. Applicare una trasformazione in un’area dell’immagine se, per esempio, quell’area è verde, oppure più scura di un certo valore. Questo strumento, associato ai metodi di fusione, le maschere, i livelli di regolazione rende Photoshop un software indispensabile.
L’estetica che ha rappresentato le origini della fotografia, è sopravvissuta a decine di anni di evoluzioni ed è tutt’ora una tipologia di interpretazione ricercata, ed apprezzata. Nonostante i numerosi prodotti che dovrebbero aiutare il colorist con contrasto, grana e dettaglio è assolutamente possibile (e consigliabile) convertire in bianconero manualmente. Sempre importante precisare che una conversione in bianco e nero non è solo una totale desaturazione di una fotografia.
Il nostro sistema visivo e la nostra percezione dei colori saranno sempre più evoluti del sensore di una fotocamera. Il digitale e l’elettronica potranno arrivare a dei risultati impossibili per noi (in alcuni casi è già così, come la visione notturna). Ma questo tramite tecnologie, come la visione ad infrarossi, che richiedono algoritmi, che difficilmente saranno in grado di riprodurre immagini “naturali”. Il potere che il nostro cervello ha di manipolare i colori non c’è in una reflex, cosa che ci obbliga al bilanciamento di uno scatto, cioè alla correzione cromatica dovuta ad illuminanti differenti, o non compresi dal sensore.
Blend-modes, metodi di fusione in italiano, sono delle opzioni di calcolo che permettono a due livelli di mescolarsi utilizzando regole differenti. I più utili utilizzano ed influiscono sulla luminosità (schiarisci, scurisci, luminosità), sul colore (colore), su entrambi (moltiplica, scolora, sovrapponi). O gestiscono operazioni fondamentali, come Differenza che ci permette di vedere le differenze tra due livelli.
L’estetica che ha rappresentato le origini della fotografia, è sopravvissuta a decine di anni di evoluzioni ed è tutt’ora una tipologia di interpretazione ricercata, ed apprezzata. Nonostante i numerosi prodotti che dovrebbero aiutare il colorist con contrasto, grana e dettaglio è assolutamente possibile (e consigliabile) convertire in bianconero manualmente. Sempre importante precisare che una conversione in bianco e nero non è solo una totale desaturazione di una fotografia.
Un sistema estremamente importante, che molto in fretta ha polarizzato il settore didattico. Per chi, nella propria professione, si troverà a doverlo utilizzare è fondamentale ed estremamente importante il suo studio. Per chi non sarà operativo in CMYK si ritiene, invece, che sia inutile. Chi scrive è radicalmente in disaccordo con questa posizione, si tratta di avere quattro ulteriori canali a disposizione operativa, e le problematiche restrittive che si incontrano lavorandoci aiutano a capire profondamente il Digital Imaging.
Il colore (del quale ci occupiamo qui) è una manifestazione macroscopica del sistema visivo dell’essere umano. Il sistema visivo è un sistema percettivo, che si è evoluto per centinaia di millenni con un unico scopo: la sopravvivenza. Alcuni effetti come la separazione cromatica ci sono stati utili in una determinata fase della storia dell’essere umano, ed è tuttora utile il loro studio.
Un metodo, ora automatizzato, di aumento della saturazione standardizzato da Dan Margulis. Inizialmente una serie di step in LAB, oggi è disponibile come operazione da un click sul suo Pannello del PPW. Il Color Boost offre dei vantaggi in termini di tempo, velocità e qualità rispetto a quasi tutte le altre tecniche di aumento della saturazione, ad eccezione forse degli slider di sviluppo RAW (per immediatezza e divisione in tinta, luminosità e saturazione). Come in altri casi è possibile tenere premuto ALT mentre si clicca su Color Boost per avere una finestra addizionale per settare differenti parametri, in questo caso se si desidera modificare l’incremento di A e B in modo paritario o a favore di uno dei due.
I professionisti della post-produzione hanno un nome: colorist. Questo termine include e raggruppa sia i professionisti del video, che dell’immagine e della fotografia. Un tempo professioni molto richieste e complesse (pellicola), con la transizione al digitale sono diventate approssimative ed inflazionate. Non esistono piani di studio completi, in parte per la soggettività dell’argomento. Si approssima invece, secondo me sbagliando, con lo studio e la conoscenza dei software.
L’esperienza didattica più importante per un colorist. Il nostro sistema visivo non è adatto a dare giudizi assoluti (figuriamoci quando c’entra anche l’estetica), è invece estremamente capace di fare un analisi osservando due variazioni. È molto difficile dire che una versione è bella, è invece immediato dire che sia migliore del proprio originale, quando li vediamo insieme. È utile precisare che proprio nei casi in cui non è immediata, né possibile, la valutazione del risultato migliore (in caso di differenti pregi e difetti coesistenti) il confronto si rivela utile e prezioso.
Per i colorist un parametro operativo di base. Più facile concentrarsi sul risultato di un suo cambiamento. Con l’aumentare del contrasto le luci si schiariscono e le ombre si scuriscono. Con la sua riduzione accade il contrario. La sua definizione, anche operativa, il rapporto con la gamma dinamica, e le analogie con altri campi richiede più spazio e tempo.
All’interno del Workshop lavoriamo ogni settimana su uno scatto da correggere. Queste fotografie sono molto importanti per noi e vengono selezionate con cura ed attenzione. Le stesse immagini possono essere usate in Sfide, e nelle Consulenze, per questo ogni immagine ha un nome: il “codename”. Ci permette di dare un nome alle fotografie che possiamo utilizzare per selezionare le Milestone, ad esempio, oltre ad essere fondamentali per la costruzione del database di Albero.
Per molto tempo Albero ha usato strumenti differenti per scopi differenti. Avevamo una newsletter per notificare di un nuovo studio nel Workshop, abbiamo utilizzato i social per gli avvisi ed i commenti negli articoli del sito per discutere. Ora tutti questi strumenti sono sostituiti da un’unica piattaforma. Una chat, che si trova nella Dashboard (una pagina disponibile solo per gli iscritti), che ci permette di comunicare tra di noi, che dispone di applicazioni native per Mac e PC e dispositivi mobili, tutti dotati di sistemi di notifiche. In particolare le notifiche possono essere attivate per ricevere gli aggiornamenti più importanti o disattivate completamente per non essere disturbati.
Per un colorist conoscere il modo in cui riusciamo a vedere ha un valore. Il nostro sistema visivo è composto non solamente dai nostri occhi, ma anche dal nostro cervello, altrettanto importante. Per la nostra evoluzione, e per la nostra sopravvivenza è stato più importante che il cervello interpretasse le informazioni collezionate dagli occhi in modo utile piuttosto che assoluto. Ad esempio per riuscire a separare dei colori molto simili per riconoscere un predatore.